Gli arbitri italiani hanno bisogno di rinnovamento. Ma la materia buona scarseggia

ROMA - Manca una giornata ancora alla fine della serie A, ma qualche riflessione complessiva è già possibile farla. A luglio dello scorso anno i vertici arbitrali annunciarono la rivoluzione: via (in anticipo) il taciturno designatore Domenico Messina, dentro Nicola Rizzoli, arbitro dell’ultima finale Mondiale e caro a Pierluigi Collina. Via gli inutili arbitri addizionali, dentro il Var affidato alla cura di Roberto Rosetti (che la finale, degli Europei, l’aveva diretta nel 2008). 

Al di là dei maquillage, l’Associazione italiana arbitri aveva – e ha – una preoccupazione: garantire il ricambio, favorire la nascita di una nuova generazione capace di prendere il posto dei vari Rizzoli-Tagliavento-Rocchi-Orsato. Il primo era già diventato dirigente, il secondo ha chiuso la carriera domenica sera con Roma-Juventus, il terzo ha ancora una stagione e il veneto tre. Il tutto al netto di deroghe sempre possibili. Quando Collina appese il fischietto al chiodo, scalpitava Rosetti. Quando Rosetti lasciò, era pronto Rizzoli. Ma ora? Rocchi andrà al Mondiale, poi ci sarà il solo Orsato a tenere alta la bandiera dell’arbitraggio nostrano, con Massa prescelto per essere la garanzia per il futuro. Un po’ pochino per chi si fregia – a ragione – di rappresentare la più apprezzata scuola di fischietti sul pianeta. Di giovani “fenomeni” non se ne vedono. 

Tanti buoni giovani arbitri, ma nessuno che faccia intravedere le stimmate del predestinato. La ragione – lo dicono tutti meno che il presidente dell’Aia, Nicchi – è nella scellerata divisione degli arbitri tra serie A e serie B, decisa anni fa per soddisfare gli appetiti delle leghe. Una volta, i fischietti che sbagliavano partite in A venivano mandati a riflettere in B, calcando i campi stando lontani da palcoscenici rischiosi. Adesso non è più possibile. Se sbagli, stai a casa. E perdi il ritmo. 

Il cambiamento deve iniziare da qui, tornando (per una volta) indietro. Alle cose buone del passato, quando un Casarin poteva permettersi di mandare ad arbitrare il derby di Milano un illustre sconosciuto che però in B aveva fatto bene, dimostrando di reggere la tensione e di essere un potenziale maestro dell’arbitraggio. Puoi cambiare i designatori e mettere il moviolone, ma alla fine conta sempre e solo l’uomo. E se la materia buona scarseggia, sono dolori.

fonte ilfoglio.it

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